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Cittadini dell’acqua. Desideri e aspirazioni degli utenti del servizio idrico

Le abitudini dei cittadini/utenti sono state recentemente sconvolte da una ritrovata coscienza ambientale e dalla recenteemergenza sanitaria. Questo mutato contesto apre l’opportunità per una nuova alleanza tra gestori e cittadini: è arrivato ilmomento per i gestori idrici di consolidare il rapporto di fiducia e di assumere una chiara identità, riconoscibile e riconosciuta,di soggetto attuatore di sostenibilità e tutela ambientale.Oggi 2 italiani su 3 affermano di conoscere “discretamente” il significato e le implicazioni della parola “sostenibilità”. Non solo. 1 su 3 dice addirittura di averne una conoscenza “buona” (Legambiente-Ipsos 2020). Un risultato impensabile solo qualche anno fa quando ancora si dibatteva sull’esistenza o meno del cosiddetto cambiamento climatico, ma anche un dato che racconta quella che non ci pare azzardato definire come una “rivoluzione culturale”. Negli ultimi due anni i temi ambientali – complici anche campagne di sensibilizzazione e manifestazioni come i Friday’s for Future – hanno fatto breccia nella coscienza collettiva dei cittadini-consumatori di tutto il mondo. In special modo sembra aver attecchito l’idea di una tanto necessaria quanto radicale revisione del rapporto tra uomo e natura, oggi deteriorato per l’uso che il primo ha fatto delle risorse messe a disposizione dalla seconda. Non è un caso che in cima alle intenzioni di cambiamento da parte degli individui ci sia quella della riduzione degli sprechi di risorse.Una tensione alla trasformazione delle proprie abitudini e stili di vita che la diffusione del Covid-19 e la conseguente emergenza sanitaria che stiamo vivendo dall’inizio di quest’anno paiono aver accentuato e reso più convinta. Per un quarto degli italiani, la pandemia è ascrivibile soprattutto a una cattiva relazione con l’ambiente, a una scarsa tutela della biodiversità e delle risorse disponibili (Rapporto Coop 2020 e Italia 2021 il Next Normal degli italiani). E l’acqua, fra queste ultime, è sicuramente una fra le più preziose.Scarsità di acqua dolce, periodi siccitosi sempre più frequenti, deterioramento degli ecosistemi dovuto allo sfruttamento e all’inquinamento, eventi meteorologici estremi sono fenomeni purtroppo evidenti e difficilmente negabili: in questo senso una maggiore consapevolezza della fragilità delle risorse idriche e degli ecosistemi può spingerci tutti ad agire e a chiedere un intervento rapido e deciso in grado di riportare la situazione verso un equilibrio

  1. Desiderio di cambiamento e conoscenza del servizio idrico: ma un cambio di attitudine passa soprattutto dal quotidiano e, come il caso dell’acqua, dalla conoscenza che da cittadini/utenti abbiamo o – come spesso accade – non abbiamo sia dei contorni di un servizio fondamentale per la nostra esistenza sia di quei soggetti che, per l’appunto, ogni giorno si occupano di gestire il ciclo dell’acqua. Vi sono almeno tre elementi che caratterizzano l’approccio nei riguardi del servizio idrico.Primo, la “scontatezza”: nella maggioranza dei casi si dà per ovvia la presenza di un servizio funzionante come se la risorsa idrica sia inesauribile e come se la sua gestione fosse priva di oneri e costi. Secondo, una approssimativa e lacunosa consapevolezza di quali compiti ha un gestore. Come emerge dalla nostra recente ricerca “Quanto vale l’ambiente?” solo un cittadino su tre identifica correttamente la totalità degli ambiti di servizio di cui il gestore è responsabile: fornitura di acqua alle utenze, raccolta e depurazione degli scarichi, controlli sulla qualità dell’acqua, investimenti lungo tutto il ciclo integrato. Il 10% non riesce ad indicarne neanche uno e solo 1 su 2 sa che il controllo della qualità dell’acqua è in capo ai gestori. Terzo, la scarsa conoscenza di chi eroga questo servizio. Solo il 50% degli italiani sa indicare il nome della società fornitrice dell’acqua che esce dai rubinetti di casa propria. La restante metà della popolazione, al contrario, afferma di non conoscere il gestore oppure ne indica uno sbagliato. Una risposta può essere: una mancata riconoscibilità è talvolta elemento positivo che indica l’assenza di ragioni per le quali il cittadino ha richiesto un intervento o reclamato per eventuali disservizi. Una spiegazione formalmente accettabile ma molto semplicistica. Più interessante è osservare il dettaglio territoriale. Vi sono zone nelle quali l’operatore è conosciuto dai cittadini, come nel caso del Nord-Est e del Centro-Italia (Emilia-Romagna e Lazio); tale conoscenza può essere letta anche alla luce di un maggiore desiderio di alcuni operatori di essere “prossimi” ai cittadini, anche attraverso strategie di informazione e comunicazione. Vi sono poi territori, come in alcune regioni del Nord-Ovest (Lombardia e Piemonte) ove solo di recente è stato individuato il gestore unico d’ambito, operatore di riferimento che sta subentrando alle gestioni locali con affidamenti in scadenza, la cui “notorietà” è ancora migliorabile, e territori, sempre nel Nord-Ovest, dove vi sono gestori di lunga data con una buona qualità del servizio la cui minor conoscenza da parte degli utenti può essere letta come la manifestazione di un servizio che funziona e di cui non ci si deve occupare/preoccupare. In alcune aree del Mezzogiorno, invece, la conoscenza è maggiore dove vi sono operatori grandi ed affermati (in Sardegna Abbanoa, in Basilicata Acquedotto Lucano e in Puglia Acquedotto Pugliese). Accanto a questi, sempre nel Mezzogiorno, vi sono territori ove è ancora diffusa la gestione diretta dei Comuni (soprattutto in Calabria e Molise) che fa registrare una scarsa conoscenza del gestore del servizio non identificato dagli utenti nel Comune stesso. La tendenza a livello nazionale è una maggiore soddisfazione dell’utenza nel Nord-Centro Italia e una decisa insoddisfazione nelle regioni meridionali e insulari. Al Nord, circa 1 individuo su 2 è contento del gestore, a differenza delle aree insulari dove solo il 30% del campione ha questa opinione. Cosa rimproverano gli abitanti del Sud alle società di gestione? Disservizi e frequenti interruzioni nella fornitura, una bassa qualità dell’acqua giudicata addirittura poco pulita o, ancora, il ricorrere di fenomeni di allagamento. Ma non è tutto. Nelle isole, una buona fetta dei rispondenti (27%) ritiene che i gestori siano per nulla attenti ai suggerimenti e alle segnalazioni che giungono dai loro utenti, mentre nell’Italia Settentrionale questa quota è inferiore al 10%.
  2. Fiducia, la parola chiave nel rapporto tra utenti-gestori: eppure, secondo la nostra indagine, gli operatori del servizio idrico meritano più fiducia delle amministrazioni locali. In una scala da 1 (totale mancanza di fiducia) a 5 (piena fiducia) i gestori del servizio idrico ottengono punteggi incoraggianti. Occupano i gradini più bassi della scala di fiducia degli italiani la Pubblica Amministrazione e, in generale, lo Stato: soggetti sentiti come “lontani” e distanti dalle problematiche quotidiane. Ciò evidenzia come il tema della vicinanza e quello della fiducia non possano essere separati: solo attraverso un atteggiamento di reale “prossimità” è possibile fondare una relazione solida e di mutua fiducia con i cittadini-utenti[1]. Una fiducia che ha declinazioni anche molto concrete, come è quella di scegliere di “bere l’acqua del rubinetto”. Un gesto piuttosto scontato in molti Paesi europei ma che in Italia ha da sempre fatto i conti con una diffusa tendenza all’acquisto di acqua minerale in bottiglia, come dimostrano i 4 cittadini su 10 che non “bevono mai” l’acqua proveniente dal rubinetto. Eppure, con l’arrivo delle misure restrittive per contenere la pandemia si è registrato un cambio di abitudini: per il 21% degli intervistati che hanno cambiato le proprie abitudini la scelta di bere acqua del rubinetto è stata una delle prime e immediate risposte verificatesi a seguito del lockdown. Una decisione che pur dettata in certa misura da ragioni pratiche (le limitazioni agli spostamenti) ha trovato nella fiducia nel servizio offerto un suo movente. Che sia una questione di “fiducia” nell’operato del gestore lo dimostrano le differenze territoriali. Chi usa regolarmente l’acqua del rubinetto per dissetarsi generalmente abita nelle regioni del Nord (48%), già contrassegnate da un più alto grado di apprezzamento nei riguardi del servizio idrico. Al Sud e nelle Isole, questa quota si abbassa drasticamente fino a toccare il 15%. Il dato di maggiore impatto per spiegare queste differenze è quello secondo cui l’85% delle persone che nelle Isole non beve acqua del rubinetto lamenta scarse qualità chimiche e/o fisiche, un sapore non gradevole o poca limpidezza, mentre nelle regioni del Nord questa stessa quota scende intorno al 35%. Dove l’acqua in bottiglia è consumata in misura maggiore è a causa della bassa qualità organolettica della risorsa resa disponibile dal rubinetto, pur sempre potabile. Inoltre, sono significative le ragioni riferite alla percezione della qualità dell’acqua: nelle Isole più di un cittadino su due tra coloro che non bevono mai acqua del rubinetto ritiene che non sia sicura o comunque che non giovi alla salute. A questo dato si contrappone il meno preoccupante sentire del Nord-Est, dove solo un cittadino su cinque ha questa opinione. Un dato uniforme in tutta la Penisola riguarda la minore predisposizione delle persone anziane a un cambio delle proprie abitudini di consumo: l’80% dei cittadini con più di 60 anni, rispetto al 58% di quelli con meno di 35 anni. Anche in questo caso, conoscenza e conseguente fiducia divengono fattori determinanti: più so che l’acqua erogata è qualitativamente buona più sono disposto a consumarla (“mi fido”). Un gesto che ha due risvolti positivi: meno impatto ambientale e risparmio economico. Specialmente oggi che siamo portati a consumare più acqua, costretti – come lo impongono le circostanze – a rimanere più tempo nelle nostre abitazioni. Infatti, è necessario accrescere la consapevolezza dei cittadini circa il contributo che il servizio idrico dà e può dare alla tutela ambientale chiudendo un gap ancora presente, ovvero che l’acqua che esce aprendo il rubinetto di casa nostra è solamente una porzione dell’attività che caratterizza il settore. Come si diceva, la pandemia che ancora sconvolge la nostra quotidianità ha portato – inevitabilmente – a una riflessione sul futuro e a un ripensamento degli obiettivi prioritari ai quali puntare per ripartire in modo nuovo. E questo vale anche in termini di indirizzo delle risorse economiche nazionali o europee come quelle dell’ormai noto Recovery Fund. Tra le proposte di utilizzo, oltre al naturale potenziamento della spesa sanitaria e del sistema ospedaliero, gli italiani hanno indicato tre opzioni che riguardano la sostenibilità ambientale e la cosiddetta transizione verde. E di queste, due sono strettamente legate al servizio idrico integrato: la lotta al cambiamento climatico insieme alla tutela dell’ambiente e l’adeguamento dei servizi di fognatura e depurazione alla normativa europea. Si tratta di un’ulteriore conferma di quanto la sensibilità alla tutela ambientale sia diventata centrale nel dibattito e domandi a gran voce ai gestori idrici di recuperare i ritardi infrastrutturali del passato e di sviluppare un nuovo paradigma per il servizio idrico sempre più orientato alla sostenibilità ambientale e alle sue sfide.